Recensione: Hong Kong. Racconto di una città sospesa di Marco Lupis

Marco Lupis è un giornalista con l’occhio da falco, un esploratore attento che sorvola i luoghi con una straordinaria capacità di osservazione e ne racconta i fatti. Qualità infallibile che fa da filo conduttore in tutti i suoi libri, tradotti in vari paesi, e nei suoi preziosi articoli che scrive per l’Huffingtonpost, oltre ad essere un eccellente interlocutore nelle trasmissione televisive della Rai, La7 e al TGCom. L’ultimissima opera si intitola Hong Kong. Racconto di una città sospesa, edito dalla casa editrice Il mulino, in cui non solo porta alla luce una terra di confine, ma trasmette il vero senso del Porto profumato, in cinese Hong Kong.

“Hong Kong è la città degli eccessi, dei record, dell’esagerazione. Ci sono probabilmente più ascensori che in qualsiasi altra metropoli e, del resto, la sua verticalità è sicuramente l’elemento che più colpisce chi vi arriva per la prima volta; senza dubbio la più appariscente.”

Da bravo giornalista consapevole descrive ogni evento storico e sviluppo attuale con affidabilità, attendibilità e coinvolgimento. Il suo talento naturale di una narrazione scorrevole è la carta vincente di questo libro, oltre all’aurea orientale di magia che riesce a creare in ogni capitolo, facendo entrare il lettore sempre più in simbiosi con le 362 pagine.

Si parte con un atterraggio al  vecchio aeroporto di “Kai Tak” dove ci accoglie una cappa di umidità spaventosa e si prosegue a ritmo spedito verso l’isola di Lamma per girare scalzi, o con gli infradito, (calzatura quasi d’obbligo per affrontare una convivenza continua con gli scarafaggi) sui sentieri e nelle strette viuzze, con il forte, e tipico vento che ci spinge in avanti, insieme alle parole del giornalista, raffigurate in una composizione di immagini incorniciate da una padronanza del linguaggio, superlativo come pochi.  Marco Lupis scrive come parla. Per chi lo conosce o lo ha visto nei suoi numerosi interventi in TV e nelle presentazioni in streaming, sembra addirittura di percepire il timbro della sua voce quando descrive l’anomalia di questo angolo di terra, formalmente colonia britannica dal 1841 al 1997, importante piazza finanziaria, commerciale e metropolitana lanciata verso il futuro, con i suoi milioni di lavoratori volenterosi.

Il libro è pervaso da un fascino sottile e nascosto che rimane, proprio come Hong Kong, anche se si torna poi a casa, e persiste una volta si finisce la lettura, lasciando ampio spazio alla curiosità e al desiderio di voler scoprire altri luoghi insieme alla scrittura di Marco Lupis. Il quadro che descrive ci porta da Victoria a Kowloon, dall’altra parte della baia e nei Nuovi Territori, fondati dalla dinastia Sung (960-1297) per ospitare i soldati imperiali impiegati nel controllo del commercio del sale, unica parte di Hong Kong che i cinesi nel 1899 non erano disposti a cedere agli inglesi. Alla fine della Seconda guerra mondiale, dopo l’invasione dei giapponesi, la parte più antica della Città murata fu demolita, un’aerea ormai distrutta e degradata che fu oggetto dell’insediamento dei cinesi in fuga alla povertà e dai rivolgimenti politici, oggi diventata un luogo di pace e bellezza.

“Si potrebbe quasi sostenere che oggi, in questa nostra società così efficiente ma povera di rapporti autentici vissuti non in maniera virtuale ma reale, abbiamo perso quel senso di comunità e di solidarietà sociale che un tempo si poteva trovare  – forse più che in altri luoghi – tra i vicoli immondi e i tetti colmi di rifiuti di quel luogo dannato.”

Marco Lupis scava nella storia e mostra la parabola di Hong Kong: dai numerosi reperti archeologici alle diverse dinastie, le influenze occidentali e la nascita di un trattato per un porto di cui necessitavano gli inglesi per riparare le loro navi e tenere le provviste. Ne fanno da illustrazione le foto inserite nel libro: la cartina di Hong Kong che risale al 1841, una veduta della baia nel 1940, la Lady di ferro durante il colloquio nel 1984 con Deng Xiaoping per concordare il ritorno di Hong Kong alla Cina, e una foto aerea che riflette la città murata nel 1989, formicaio terribile, appunto, ma un labirinto affasciante.

Non restano molti ricordi della tremenda battaglia di sangue del 1941, quando i giapponesi invasero il territorio, eppure sono palpabili nella vita quotidiana attuale perché appena sotto la superfice delle strade trafficate si trova un terreno che può sprofondare da un momento all’altro a causa dei tanti tunnel sotterranei, usati come rifugi nel passato. E a proposito di tunnel, la lettura porta a scoprire poi Pottinger street, una delle strade più antiche dedicate a Sir Henry Pottinger, tenete dell’esercito e amministratore residente della provincia di Sindh; e al tunnel della pace, progetto costato 140 milioni di dollari HK e la costruzione in settantadue mesi con l’obiettivo di collegare i flussi del traffico e ridurre il tempo di percorrenza tra Sha Tin e Central. Che la città sia predisposta verso la verticalità esalta maggiormente dalla sepoltura dei morti, in verticale appunto. Ma in tutta questa dimensione di grattacieli di vetro e cemento domina un’oasi inaspettata di tranquillità, costituita da una serie di terrazze scavate nel fitto sottobosco alberato che scala le pendici di una collina, dove si trova la più antica fontana di Hong Kong. E scopriamo anche il fantasma di Hello Kitty! Un macabro ritrovamento fatto dagli agenti di polizia quando una quattordicenne si autodenunciò di aver ucciso un pupazzo gigante di Hello Kitty, giacente sul suo letto con dentro la testa mozzata di una ventitreenne. Continuiamo a viaggiare, lasciando le ombre alla spalle, e scopriamo inoltre che Hong Kong, dopo Hollywood e Bollywood, è stata una delle capitali del cinema con la produzione di circa duecento film all’anno, di cui evince la pellicola poliziesca Infernal Affairs del 2002, apice del successo. E piove nel 1997, sullo storico ritorno di Hong Kong sotto il governo di Pechino, e un’aria strana e appiccicosa invade le strade e commuta Marco Lupis da cittadino europeo, esponente della stampa libera, in un ospite sotto la sovranità della Cina popolare e comunista.

“La vita per me e per la mia famiglia continuava però come prima. Per me, per noi, la città sul Delta del fiume delle Perle restava un luogo unico, un luogo comunque di confine: un luogo perennemente sospeso, in equilibrio precario ma stabile, malgrado tutto, tra Oriente e Occidente.“

Hong Kong. Racconto di una città sospesa è un libro attuale, frutto di un quarto di secolo di esperienze, lavoro e vita dell’autore ad Hong Kong, di relazioni con la popolazione e di dialoghi con i ragazzi in mezzo alle tempeste di lacrimogeni e negli scontri durante le recenti proteste.  Un racconto estremamente interessante, scritto in maniera accattivante ed invitante che lascia un senso di insazietà perché quando si entra nel regno della narrazione di questo giornalista, non se ne può più fare a meno. L’entusiasmo con cui racconta Marco Lupis è contagioso, al punto da volersi immergere fisicamente nelle sue parole, fare parte della realtà che rispecchia, prendere il primo volo e atterrare con il libro in mano per confrontarsi con le bellezze e le curiosità, essere sospesi nell’aria ed ammirare ad occhio nudo la magia di Hong Kong.

Hong Kong. Racconto di una città sospesa è disponibile in libreria e sul sito: https://www.mulino.it/isbn/9788815291172

Marco Lupis giornalista all’Huffington Post, è stato per molti anni inviato di guerra e corrispondente da Hong Kong per le maggiori testate italiane e per la Rai. Esperto di Estremo Oriente, il suo libro «I cannibali di Mao» (Rubbettino) ha vinto il premio «Città di Como» per il miglior libro di giornalismo di viaggio del 2019.

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